CHICAGO - Emilia e Aurelia, due nomi di donna per dare una speranza a
tutte coloro che devono affrontare il tumore al seno e all’ovaio. Si
chiamano in questo modo infatti gli studi di fase III su trastuzumab
emtasine (T- DM1) e su bevacizumab in combinazione con la terapia
standard che, con lo studio ML18147 per il colon retto, sono stati
presentati al recente congresso di oncologia ASCO di Chicago. I dati di
Emilia mostrano un miglioramento significativo del periodo di
sopravvivenza senza peggioramento della malattia (PFS) nelle pazienti
affette da tumore al seno metastatico HER2-positivo, così come una
tendenza a vivere più a lungo.
Trastuzumab emtansine è stato studiato per colpire in maniera mirata le cellule tumorali con una sovraespressione del recettore HER2, le più aggressive, e di portare la chemioterapia direttamente all'interno delle cellule cancerogene. «Il farmaco T-DM1 è il coronamento di un progetto nato all'inizio degli anni '80 - spiega Luca Gianni, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano - quando è stato possibile cominciare a produrre gli anticorpi monoclonali diretti contro bersagli specifici della cellula tumorale. Il T-DM1 è un grande successo». Lo studio Aurelia invece ha valutato il trattamento con bevacizumab in combinazione con chemioterapia standard nelle pazienti affette da carcinoma ovarico, in cui la malattia è peggiorata a causa della resistenza alla chemioterapia contenente platino. In questo caso il rischio di progressione della patologia è stato ridotto del 52%. La maggior parte delle pazienti arriva tardi alla diagnosi e questo riduce le chance di guarigione al 30-40%. Con bevacizumab si riduce del 28% il rischio di ricomparsa del cancro dell’ovaio.
Infine lo studio ML18147 per il tumore del colon retto metastatico (mCRC), che ha valutato la continuazione di utilizzo di bevacizumab in aggiunta alla chemioterapia anche in seconda linea. Il rischio relativo di mortalità è stato ridotto del 19% mentre quello di progressione del tumore è sceso del 32%. «I pazienti con tumore del colon retto avanzato – spiega Alberto Sobrero, Responsabile della Divisione di Oncologia Medica dell’Ospedale San Martino di Genova - hanno una mediana di sopravvivenza di pochi mesi, che può però raggiungere alcuni anni grazie agli interventi terapeutici attualmente disponibili. Da circa 8 anni c’è bevacizumab, che argina la proliferazione dei vasi sanguigni e blocca il rifornimento di sangue al tumore».
Trastuzumab emtansine è stato studiato per colpire in maniera mirata le cellule tumorali con una sovraespressione del recettore HER2, le più aggressive, e di portare la chemioterapia direttamente all'interno delle cellule cancerogene. «Il farmaco T-DM1 è il coronamento di un progetto nato all'inizio degli anni '80 - spiega Luca Gianni, direttore del Dipartimento di oncologia medica dell'Istituto scientifico universitario San Raffaele di Milano - quando è stato possibile cominciare a produrre gli anticorpi monoclonali diretti contro bersagli specifici della cellula tumorale. Il T-DM1 è un grande successo». Lo studio Aurelia invece ha valutato il trattamento con bevacizumab in combinazione con chemioterapia standard nelle pazienti affette da carcinoma ovarico, in cui la malattia è peggiorata a causa della resistenza alla chemioterapia contenente platino. In questo caso il rischio di progressione della patologia è stato ridotto del 52%. La maggior parte delle pazienti arriva tardi alla diagnosi e questo riduce le chance di guarigione al 30-40%. Con bevacizumab si riduce del 28% il rischio di ricomparsa del cancro dell’ovaio.
Infine lo studio ML18147 per il tumore del colon retto metastatico (mCRC), che ha valutato la continuazione di utilizzo di bevacizumab in aggiunta alla chemioterapia anche in seconda linea. Il rischio relativo di mortalità è stato ridotto del 19% mentre quello di progressione del tumore è sceso del 32%. «I pazienti con tumore del colon retto avanzato – spiega Alberto Sobrero, Responsabile della Divisione di Oncologia Medica dell’Ospedale San Martino di Genova - hanno una mediana di sopravvivenza di pochi mesi, che può però raggiungere alcuni anni grazie agli interventi terapeutici attualmente disponibili. Da circa 8 anni c’è bevacizumab, che argina la proliferazione dei vasi sanguigni e blocca il rifornimento di sangue al tumore».
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