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D'ora in poi "Andrea" in Italia non sarà più solo
un nome maschile. Lo ha sancito la Cassazione, accogliendo il ricorso
di due genitori che, dopo aver deciso di chiamare la propria bambina
"Andrea", erano stati costretti dal tribunale di Pistoia a cambiarlo in
"Giulia Andrea". In altre culture straniere, con pari dignità della
nostra - hanno motivato gli "ermellini" - il nome è bisex, cioè usato
sia per uomini che per donne.
La coppia di
genitori aveva presentato un reclamo alla Corte d'appello di Firenze,
che però era stato rigettato. Da qui, la decisione di proporre il caso
alla Suprema Corte, la quale, con la sentenza ha deciso nel merito della
questione e disposto anche la cancellazione della rettifica del nome
della bimba dall'atto di stato civile.
Il nome Andrea - spiegano gli 'ermellini' - in numerosi Paesi europei (Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania, Olanda, Danimarca e Ungheria) ed extraeuropei (in particolare gli Stati Uniti) è neutro, cioè può essere indifferentemente utilizzato per persone di sesso femminile o maschile.
Il provvedimento impugnato dai due genitori, sostiene la Cassazione, ha valutato "solo il solco della tradizione italiana, senza tener presente fattori di interferenza, provenienti da culture straniere, cui viene riconosciuta diretta dignità e tutela dalla disciplina normativa italiana".
Secondo il tribunale di Pistoia, chiamare la bambina "Andrea" avrebbe violato la legge (art. 35 del dpr n. 396 del 2000), in base alla quale il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso. La Suprema Corte, però, ha bocciato tesi facendo notare che il nome Andrea, oggi, se attribuito ad una bambina, non la fa sentire più ridicola né in imbarazzo o creare confusione di genere proprio per il fatto che tante altre donne in vari Paesi portano questo nome.
Il nome Andrea - spiegano gli 'ermellini' - in numerosi Paesi europei (Slovacchia, Inghilterra, Spagna, Germania, Olanda, Danimarca e Ungheria) ed extraeuropei (in particolare gli Stati Uniti) è neutro, cioè può essere indifferentemente utilizzato per persone di sesso femminile o maschile.
Il provvedimento impugnato dai due genitori, sostiene la Cassazione, ha valutato "solo il solco della tradizione italiana, senza tener presente fattori di interferenza, provenienti da culture straniere, cui viene riconosciuta diretta dignità e tutela dalla disciplina normativa italiana".
Secondo il tribunale di Pistoia, chiamare la bambina "Andrea" avrebbe violato la legge (art. 35 del dpr n. 396 del 2000), in base alla quale il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso. La Suprema Corte, però, ha bocciato tesi facendo notare che il nome Andrea, oggi, se attribuito ad una bambina, non la fa sentire più ridicola né in imbarazzo o creare confusione di genere proprio per il fatto che tante altre donne in vari Paesi portano questo nome.
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