L'AQUILA - Maxi risarcimento da un milione di euro per
le figlie di una donna aquilana morta poco dopo il terremoto
dell'Abruzzo e che nel 1991 aveva scoperto, da controlli medici, di
avere contratto l'epatite C dopo due emotrasfusioni
cui si era sottoposta nel 1981 nell'ospedale San Salvatore dell'Aquila.
Per il giudice del Tribunale dell'Aquila Antonella Camilli il ministero
della Salute doveva assicurarsi il rispetto della normativa di settore
e, quindi, impedire che venisse utilizzato plasma infetto. Nella
sentenza si ricorda, inoltre, che nonostante il test di rilevazione
dell'epatite C sia stato introdotto solo nel 1988, già dal 1960 la
scienza mondiale aveva gli strumenti idonei a rilevare la presenza di
virus nel sangue. Quindi, anche in assenza di un test identificativo il
ministero aveva comunque il dovere di praticare metodi alternativi
esistenti che consentissero di fare indagini anamnestiche sui donatori e
controlli effettivi di laboratorio sul plasma.
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