lunedì 26 novembre 2012

IL PARTO NATURALE E LE SUE FASI

 

Il parto naturale


Durante la gravidanza, il collo dell'utero è chiuso in maniera "ermetica". A partire dalla
trentottesima settimana, il collo inizia a raccorciarsi per effetto delle contrazioni preparatorie. La data presunta del parto, comunque, è soltanto indicativa. Il travaglio, infatti, può cominciare anche 15 giorni prima o ritardare di una decina (soprattutto il primo). Ogni parto e ogni travaglio, infatti, seguono un loro corso e non esiste una “tabella di marcia” che sia valida per tutte le donne. In ogni caso, alcuni segnali, dalle fitte alle contrazioni, indicano l'inizio delle doglie, ma vanno però distinti dai falsi allarmi.

Nei giorni precedenti


Non esistono regole fisse che preannuncino l'inizio del travaglio; ci sono tuttavia alcuni segnali che possono indicare che il bimbo nascerà presto; alcuni di questi possono manifestarsi qualche giorno prima dell'inizio del travaglio. Ecco quali:

La comparsa di doloretti


Si tratta di dolori simili a quelli mestruali che coinvolgono anche la parte bassa della schiena: è probabile che il travaglio abbia inizio nel giro di qualche giorno. Comunque, è consigliabile distrarsi, aspettare e, soprattutto, non allarmarsi: l'utero si sta semplicemente preparando.

Questo lasso di tempo durante il quale ci sono questi sintomi è il cosiddetto periodo prodromico, durante il quale il feto si impegna nel bacino e incunea la testa nel canale uterino: la donna in questa fase avverte una sensazione di peso nella parte inferiore dell’addome e nella regione lombare e aumenta ulteriormente lo stimolo a urinare spesso, mentre migliora la respirazione per la minore pressione esercitata sul diaframma.

Sia le nullipare (donne al primo parto) che le pluripare (donne che hanno avuto parti multipli) andranno incontro alla fase prodromica, che si annuncerà con contrazioni gravidiche, ritmiche e dolorose, della durata media di 2-3 ore. Esse si avvertono soprattutto nelle ore serali o notturne, possono presentarsi anche per qualche giorno e comportano a volte una perdita di muco dai genitali.

Il distacco del tappo mucoso


La perdita del tappo mucoso non provoca dolore e perciò può passare inosservata se, per esempio, si verifica mentre si va in bagno. Il tappo mucoso è costituito dal muco che fino a quel momento chiudeva il collo dell'utero isolando la cavità uterina dall'ambiente esterno. Si tratta di una perdita di consistenza gelatinosa (più densa delle perdite vaginali che compaiono in gravidanza) e può essere striata di rosa o di rosso. La presenza di gocce di sangue è dovuta alla rottura dei vasi capillari che si verifica quando l'utero comincia a dilatarsi.

Il travaglio


Per travaglio di parto si intende quell’insieme di fenomeni, meccanici e dinamici, fra di loro integrati, che conducono all’espulsione del feto e dei suoi annessi (ad esempio la placenta) dall’organismo materno. La sua insorgenza coincide con l’inizio delle contrazioni dolorose associate alle modificazioni anatomiche del collo uterino che via via si appiana e si dilata (fenomeni dinamici).

Una nullipara potrà avere un travaglio di 6 ore, vale a dire più lungo di quello di una pluripara che si aggira invece sulle 2-3 ore. I motivi di questo diverso comportamento vanno ricercati in una maggiore rigidità del canale del parto e in un’attività uterina in molti casi inefficace. Quest’ultima causa, in particolare, può essere responsabile anche dei parti operativi (cesarei), che si presentano con maggiore frequenza nelle nullipare. Essi possono tuttavia essere in larga parte evitati con la somministrazione di ossitocina (l’ormone fisiologico in grado di aumentare le contrazioni uterine).

Per convenzione durante il travaglio di parto si distinguono tre stadi:


  • 1° stadio: dall’inizio del travaglio alla dilatazione completa della cervice (fase dilatante);
  • 2° stadio: dalla dilatazione completa della cervice al parto (fase espulsiva);
  • 3° stadio: dal parto all’espulsione della placenta (secondamento).

Durante il primo stadio si distinguono inoltre (Freedman): una fase di latenza: dall’inizio di contrazioni uterine regolari all’inizio della fase attiva (3 - 4 cm. di dilatazione) ed una fase attiva: dai 3 - 4 cm. di dilatazione fino alla dilatazione completa.

Quando andare in ospedale


È perfettamente inutile precipitarsi all’ospedale, soprattutto se è vicino, al primo accenno di contrazioni. Qui riporteremo una regola generale che tiene conto di intensità e durata delle contrazioni:

In base alla frequenza...


Misurare la frequenza e la durata delle contrazioni dalla loro comparsa, usando un orologio con lancetta dei secondi. La frequenza va controllata misurando l'intervallo tra una contrazione e quella successiva; di solito, all'inizio è tra i 30 e i 15 minuti.

...e alla durata


La durata si calcola da quando comincia a quando finisce ogni singola contrazione. Di solito, all'inizio e di circa 15-20 secondi. É consigliabile andare in ospedale quando le contrazioni si succedono a circa una distanza di 5-10 minuti (dipende da quanto dista l'ospedale, se è vicino ci si può avviare quando l'intervallo è pari a circa 4 minuti) e quando hanno una durata di 40-50 secondi circa.

Andare subito in ospedale se:


...si è in preda all'ansia per motivi caratteriali. L'importante è sentirsi a proprio agio per affrontare al meglio l’esperienza del parto.

...compaiono perdite di sangue rosso vivo: possono essere dovute a un problema della placenta che va affrontato subito.

...si rompono le acque anche se non sono ancora cominciate le contrazioni. Con la rottura delle acque, il bebè non è più difeso dall'ambiente esterno ed è indifeso verso possibili infezioni

Fase dilatante


Durante il travaglio, per mezzo delle contrazioni, la cervice si dilata, aprendo così il passaggio al bambino. La fuoriuscita del bebè è favorita dalla disposizione della muscolatura dell'utero: il piccolo non riuscirebbe ad uscire se la muscolatura della parte inferiore opponesse una resistenza uguale e contraria a quelle impressa dal fondo dell'utero. In pratica, l'utero non si indurisce in modo uniforme, ma la contrazione della parte superiore spinge il piccolo verso quella inferiore, più morbida e debole perché dotata di un fascio muscolare molto sottile (quasi un movimento a onda). Durante tutto il travaglio, il bambino viene “massaggiato” ad ogni contrazione.

L'utero si indurisce per poi rilassarsi completamente durante l'intervallo successivo e il continuo alternarsi di compressioni e rilassamenti agisce sul bebè come un massaggio che stimola tutte le funzioni del suo organismo preparandolo alla nascita. Quando inizia il travaglio vero e proprio, il collo dell’utero si appiana completamente, cioè fa un tutt'uno con la parete uterina, e grazie alle contrazioni sempre più intense che stirano le sue fibre muscolari, si dilata fino ad arrivare a circa dieci centimetri di diametro. In questo modo utero e vagina formano il canale del parto attraverso cui uscirà il bambino.

Fino ai quattro-sei centimetri di dilatazione (prima fase) di solito le contrazioni sono abbastanza distanziate e sopportabili. È nella seconda fase del travaglio che diventano più dolorose e ravvicinate, e portano il collo dell'utero a dilatarsi completamente. Questa fase può durare da trenta minuti a due ore e per la mamma è più impegnativa perché le contrazioni si susseguono con un ritmo serrato e si fa fatica a recuperare le forze nell'intervallo fra l'una e l'altra.

Le due fasi


La prima parte del travaglio è in genere più lunga, mentre gli ultimi "centimetri" di dilatazione si acquistano in tempi più veloci. Le contrazioni si fanno più forti e si avvicinano una all'altra man mano che la nascita diventa imminente. Quando la dilatazione della cervice (collo dell'utero) è attorno agli 8-10 centimetri le contrazioni possono essere molto intense (possono durare 90 secondi e più) e molto vicine tra di loro (ogni uno-due minuti circa). Le contrazioni come abbiamo detto sono più forti nel fondo uterino (la parte alta). In basso, lo spessore della muscolatura dell'utero è infatti minore e molto scarso nel segmento inferiore (collo dell'utero).

Durante la prima fase di solito si rompono spontaneamente le acque. Se le membrane restano ancora integre e il collo dell’utero si è aperto di 4-5 cm, deve essere eseguita l’amnioressi, cioè la rottura provocata delle acque. È infatti importante conoscere l’aspetto del liquido amniotico, che offre sempre una buona indicazione delle condizioni fetali per tutta la durata del travaglio (un liquido tinto di verde ad esempio può segnalare una sofferenza fetale).

Se dopo tre ore dall’amnioressi la dilatazione non procede di almeno 1 cm all’ora, il travaglio può essere accelerato dalla somministrazione di ossitocina. Questo ormone può essere dato con sicurezza ad una nullipara che ha in grembo un solo feto, il quale si presenta in posizione fisiologica nel canale del parto e in un contesto di membrane già rotte e liquido amniotico limpido (o tinto con meconio, quindi verde, a cui però si associa però un’ecografia normale). Anche una donna che ha già avuto altri figli può tuttavia beneficiare di questo ormone. L’uso dell’ossitocina è comunque controindicato quando il nascituro si presenta di fronte o in posizione podalica (vale a dire non a testa in giù) o quando le membrane sono ancora integre.

A metà del periodo dilatante, vale a dire quando il collo dell’utero si è aperto di 3-4 cm si può eseguire l’anestesia epidurale, che comporta l’introduzione di un anestetico locale nello spazio compreso tra le vertebre lombari.

La fase finale del travaglio dura in genere da 30 minuti a due ore ed è la più difficile da sopportare, poiché tra una contrazione e l'altra non si fa in tempo a riposare. Quando il collo dell'utero è dilatato al punto da combaciare con la circonferenza della testa del bambino, inizia la fase espulsiva, ossia quella delle spinte. Il periodo dilatante ha una durata variabile da 2 a 8-10 ore.

Fase espulsiva


Mediamente questa fase dura da 30 minuti a 1-2 ore. Questo stadio inizia quando ormai il collo dell’utero si è dilatato completamente e ha il compito di far procedere il nascituro lungo il canale del parto. Il canale del parto è una struttura muscolo-mucosa, composta dalle ossa del piccolo bacino, rappresentate davanti dal pube, di lato prevalentemente dall’ischio e dall’ileo (parti dell’osso dell’anca) e dietro dal sacro e dal coccige (che sono segmenti della colonna vertebrale).

Il canale del parto (fig.1) primo fattore da prendere in considerazione nella dinamica del parto, è costituito dalle ossa del bacino ed è rivestito internamente da muscoli rappresentati nella parte più craniale, dai muscoli del bacino e, nella parte più distale dai muscoli del pavimento pelvico. La localizzazione di tali muscoli e l’azione che essi esercitano hanno un ruolo determinante nella fenomenologia del travaglio e del parto.

Nella prima fase, che dura al massimo un’ora, la vagina non è ancora distesa e la partoriente non sente la necessità di spingere. Se il parto deve essere effettuato d’urgenza, è questo il momento di effettuare il cesareo.

La seconda fase di questo stesso periodo comincia invece dal momento in cui la testa del feto raggiunge il pavimento pelvico e si conclude con la nascita. Di solito le contrazioni che si avvertono non sono dolorose, perché le fibre del collo dell’utero si sono ormai dilatate.

Le contrazioni dunque sono molto diverse da prima e l'intervallo tra l'una e l'altra di solito è più lungo rispetto alla fase precedente. Si evidenzia invece un impulso ad espellere, perché la testa del feto, scendendo lungo il canale del parto, schiaccia l’ampolla rettale conferendole il cosiddetto “premito”. Se la partoriente non avverte questa sensazione, può darsi che la testa del feto sia troppo grossa o messa in posizione non fisiologica. Questo inconveniente viene di solito evidenziato già durante la fase dilatativa. L’ostetrica determina infatti la posizione della testa fetale in base alla disposizione delle fontanelle e delle suture del cranio che avverte al tatto. In questo modo è al corrente se la testa del nascituro è girata a destra piuttosto che a sinistra, se è completamente flessa o perfettamente calibrata, cioè messa sul giusto piano per scendere lungo il canale del parto.

In ogni caso l’ostetrica non inviterà la partoriente a spingere finché la testa del feto non abbia raggiunto il pavimento pelvico. Dopo aver escluso una presentazione anomala del nascituro, si procederà tuttavia all’infusione di ossitocina se è trascorsa un’ora nelle nullipare, e mezz’ora nelle pluripare. Se nonostante la somministrazione dell’ormone la situazione rimane immutata, si renderà necessaria l’esecuzione del taglio cesareo.

La donna viene invitata a spingere dall'ostetrica o dal ginecologo proprio durante la contrazione per assecondare i movimenti del bambino e il lavoro dell'utero. Le spinte, affinché siano efficaci, devono essere il più possibile lunghe e continue ed effettuate “di pancia”.

Proprio un istante prima che il bambino nasca, il medico potrebbe eseguire un'incisione con una speciale forbice che serve a facilitare la fuoriuscita del piccolo ed evitare lacerazioni del perineo (episiotomia). Esistono due tipi di episiotomia: la prima si chiama "mediana"; il taglio è centrale, e procede dalla vagina verso l'ano. Non incide i muscoli ma solo la cute e la mucosa vaginale.

Il secondo tipo è detta "paramediana", ed è più ampia e più profonda: il taglio va dalla vagina verso la natica destra in diagonale e oltre alla cute e alla mucosa vengono incisi i muscoli. I punti vengono applicati in anestesia locale; quelle esterni, sulla cute e poi ci sono quelli interni, per gli strati più profondi: mucosa vaginale e fasce muscolari. In quasi tutti i punti nascita viene usato filo riassorbibile, che si scioglie da solo nel giro di qualche giorno.

Il feto continua a scendere, la testa ruota internamente, per poi estendersi e comparire a livello vulvare. Una volta uscita, la testa tende a ruotare esternamente ed a ciò segue una rotazione opposta del tronco. In questo modo, lentamente, compariranno le spalle, uscite le quali il corpo del feto viene facilmente eliminato all'esterno.

Fig.1 (Fase del parto)

Fig.2 (particolare della rotazione del feto durante la progressione lungo il canale del parto)

Fig.3 (Fase del parto)

Fig.4 (espulsione del feto)

Dopo che il neonato è stato espulso, le contrazioni uterine si interrompono per circa un quarto d’ora, per poi riprendere per circa mezz’ora allo scopo di espellere la placenta (periodo del secondamento). In condizioni di normalità, dopo 10-20 secondi dalla nascita, si reciderà il funicolo ombelicale e si somministreranno 5 unità di ossitocina. Si completerà l’aspirazione del muco che fuoriesce dal naso del neonato che verrà coperto e posato in grembo alla madre.

Fase del secondamento


La fase dura da 5 minuti a mezz’ora circa. Dopo l'espulsione del feto, il volume uterino si riduce notevolmente e compaiono vigorose contrazioni. Essendo la placenta poco elastica non riesce a adattarsi a queste nuove dimensioni dell'utero, tanto da staccarsi dalla decidua e da essere espulsa all'esterno. Si formerà un ematoma tra la placenta e la decidua conseguente al distacco dei due foglietti. L'espulsione della placenta prende il nome di secondamento e dura circa quindici minuti. Avvenuta l'espulsione della placenta, compare il post partum, periodo in cui abbiamo l'emostasi (fuoriuscita di sangue) a livello del distacco placentare.

L'ostetrica o il ginecologo esamineranno la placenta con cura, per assicurarsi che sia intera. Se c'è un minimo dubbio, esploreranno l'utero per vedere che non siano rimasti frammenti; se ciò avviene, infatti, è più probabile il rischio di emorragie. Per questo motivo in alcuni ospedali la mamma dopo il parto viene fatta alzare e accompagnata a piedi nella stanza del reparto: la forza di gravità favorisce l'eliminazione di eventuali particelle estranee. L'utero in questa fase rimane contratto in modo da evitare eccessive perdite di sangue. Per favorire la sua contrazione spesso il medico pratica un'iniezione di ossitocina, l'ormone responsabile delle contrazioni uterine. Questo periodo dura circa due ore, infatti la mamma viene tenuta sotto osservazione per eventuali complicazioni. Trascorse le 2 ore il fenomeno del parto può considerarsi concluso.

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