Il parto naturale
Durante
la gravidanza, il collo dell'utero è chiuso in maniera "ermetica". A
partire dalla
trentottesima settimana, il collo inizia a raccorciarsi
per effetto delle contrazioni preparatorie. La data presunta del parto,
comunque, è soltanto indicativa. Il travaglio, infatti, può cominciare
anche 15 giorni prima o ritardare di una decina (soprattutto il primo).
Ogni parto e ogni travaglio, infatti, seguono un loro corso e non esiste
una “tabella di marcia” che sia valida per tutte le donne. In ogni
caso, alcuni segnali, dalle fitte alle contrazioni, indicano l'inizio
delle doglie, ma vanno però distinti dai falsi allarmi.Nei giorni precedenti
Non
esistono regole fisse che preannuncino l'inizio del travaglio; ci sono
tuttavia alcuni segnali che possono indicare che il bimbo nascerà
presto; alcuni di questi possono manifestarsi qualche giorno prima
dell'inizio del travaglio. Ecco quali:
La comparsa di doloretti
Si
tratta di dolori simili a quelli mestruali che coinvolgono anche la
parte bassa della schiena: è probabile che il travaglio abbia inizio nel
giro di qualche giorno. Comunque, è consigliabile distrarsi, aspettare
e, soprattutto, non allarmarsi: l'utero si sta semplicemente preparando.
Questo
lasso di tempo durante il quale ci sono questi sintomi è il cosiddetto
periodo prodromico, durante il quale il feto si impegna nel bacino e
incunea la testa nel canale uterino: la donna in questa fase avverte una
sensazione di peso nella parte inferiore dell’addome e nella regione
lombare e aumenta ulteriormente lo stimolo a urinare spesso, mentre
migliora la respirazione per la minore pressione esercitata sul
diaframma.
Sia
le nullipare (donne al primo parto) che le pluripare (donne che hanno
avuto parti multipli) andranno incontro alla fase prodromica, che si
annuncerà con contrazioni gravidiche, ritmiche e dolorose, della durata
media di 2-3 ore. Esse si avvertono soprattutto nelle ore serali o
notturne, possono presentarsi anche per qualche giorno e comportano a
volte una perdita di muco dai genitali.
Il distacco del tappo mucoso
La
perdita del tappo mucoso non provoca dolore e perciò può passare
inosservata se, per esempio, si verifica mentre si va in bagno. Il tappo
mucoso è costituito dal muco che fino a quel momento chiudeva il collo
dell'utero isolando la cavità uterina dall'ambiente esterno. Si tratta
di una perdita di consistenza gelatinosa (più densa delle perdite
vaginali che compaiono in gravidanza) e può essere striata di rosa o di
rosso. La presenza di gocce di sangue è dovuta alla rottura dei vasi
capillari che si verifica quando l'utero comincia a dilatarsi.
Il travaglio
Per
travaglio di parto si intende quell’insieme di fenomeni, meccanici e
dinamici, fra di loro integrati, che conducono all’espulsione del feto e
dei suoi annessi (ad esempio la placenta) dall’organismo materno. La
sua insorgenza coincide con l’inizio delle contrazioni dolorose
associate alle modificazioni anatomiche del collo uterino che via via si
appiana e si dilata (fenomeni dinamici).
Una
nullipara potrà avere un travaglio di 6 ore, vale a dire più lungo di
quello di una pluripara che si aggira invece sulle 2-3 ore. I motivi di
questo diverso comportamento vanno ricercati in una maggiore rigidità
del canale del parto e in un’attività uterina in molti casi inefficace.
Quest’ultima causa, in particolare, può essere responsabile anche dei
parti operativi (cesarei), che si presentano con maggiore frequenza
nelle nullipare. Essi possono tuttavia essere in larga parte evitati con
la somministrazione di ossitocina (l’ormone fisiologico in grado di
aumentare le contrazioni uterine).
Per convenzione durante il travaglio di parto si distinguono tre stadi:
-
1° stadio: dall’inizio del travaglio alla dilatazione completa della cervice (fase dilatante);
-
2° stadio: dalla dilatazione completa della cervice al parto (fase espulsiva);
-
3° stadio: dal parto all’espulsione della placenta (secondamento).
Durante il primo stadio si distinguono inoltre (Freedman): una fase di latenza: dall’inizio di contrazioni uterine regolari all’inizio della fase attiva (3 - 4 cm. di dilatazione) ed una fase attiva: dai 3 - 4 cm. di dilatazione fino alla dilatazione completa.
Quando andare in ospedale
È
perfettamente inutile precipitarsi all’ospedale, soprattutto se è
vicino, al primo accenno di contrazioni. Qui riporteremo una regola
generale che tiene conto di intensità e durata delle contrazioni:
In base alla frequenza...
Misurare
la frequenza e la durata delle contrazioni dalla loro comparsa, usando
un orologio con lancetta dei secondi. La frequenza va controllata
misurando l'intervallo tra una contrazione e quella successiva; di
solito, all'inizio è tra i 30 e i 15 minuti.
...e alla durata
La
durata si calcola da quando comincia a quando finisce ogni singola
contrazione. Di solito, all'inizio e di circa 15-20 secondi. É
consigliabile andare in ospedale quando le contrazioni si succedono a
circa una distanza di 5-10 minuti (dipende da quanto dista l'ospedale,
se è vicino ci si può avviare quando l'intervallo è pari a circa 4
minuti) e quando hanno una durata di 40-50 secondi circa.
Andare subito in ospedale se:
...si
è in preda all'ansia per motivi caratteriali. L'importante è sentirsi a
proprio agio per affrontare al meglio l’esperienza del parto.
...compaiono perdite di sangue rosso vivo: possono essere dovute a un problema della placenta che va affrontato subito.
...si
rompono le acque anche se non sono ancora cominciate le contrazioni.
Con la rottura delle acque, il bebè non è più difeso dall'ambiente
esterno ed è indifeso verso possibili infezioni
Fase dilatante
Durante
il travaglio, per mezzo delle contrazioni, la cervice si dilata,
aprendo così il passaggio al bambino. La fuoriuscita del bebè è favorita
dalla disposizione della muscolatura dell'utero: il piccolo non
riuscirebbe ad uscire se la muscolatura della parte inferiore opponesse
una resistenza uguale e contraria a quelle impressa dal fondo
dell'utero. In pratica, l'utero non si indurisce in modo uniforme, ma la
contrazione della parte superiore spinge il piccolo verso quella
inferiore, più morbida e debole perché dotata di un fascio muscolare
molto sottile (quasi un movimento a onda). Durante tutto il travaglio,
il bambino viene “massaggiato” ad ogni contrazione.
L'utero
si indurisce per poi rilassarsi completamente durante l'intervallo
successivo e il continuo alternarsi di compressioni e rilassamenti
agisce sul bebè come un massaggio che stimola tutte le funzioni del suo
organismo preparandolo alla nascita.
Quando inizia il travaglio vero e proprio, il collo dell’utero si
appiana completamente, cioè fa un tutt'uno con la parete uterina, e
grazie alle contrazioni sempre più intense che stirano le sue fibre
muscolari, si dilata fino ad arrivare a circa dieci centimetri di
diametro. In questo modo utero e vagina formano il canale del parto
attraverso cui uscirà il bambino.
Fino
ai quattro-sei centimetri di dilatazione (prima fase) di solito le
contrazioni sono abbastanza distanziate e sopportabili. È nella seconda
fase del travaglio che diventano più dolorose e ravvicinate, e portano
il collo dell'utero a dilatarsi completamente. Questa fase può durare da
trenta minuti a due ore e per la mamma è più impegnativa perché le
contrazioni si susseguono con un ritmo serrato e si fa fatica a
recuperare le forze nell'intervallo fra l'una e l'altra.
Le due fasi
La
prima parte del travaglio è in genere più lunga, mentre gli ultimi
"centimetri" di dilatazione si acquistano in tempi più veloci. Le
contrazioni si fanno più forti e si avvicinano una all'altra man mano
che la nascita diventa imminente. Quando la dilatazione della cervice
(collo dell'utero) è attorno agli 8-10 centimetri le contrazioni possono
essere molto intense (possono durare 90 secondi e più) e molto vicine
tra di loro (ogni uno-due minuti circa). Le contrazioni come abbiamo
detto sono più forti nel fondo uterino (la parte alta). In basso, lo
spessore della muscolatura dell'utero è infatti minore e molto scarso
nel segmento inferiore (collo dell'utero).
Durante
la prima fase di solito si rompono spontaneamente le acque. Se le
membrane restano ancora integre e il collo dell’utero si è aperto di 4-5
cm, deve essere eseguita l’amnioressi, cioè la rottura provocata delle
acque. È infatti importante conoscere l’aspetto del liquido amniotico,
che offre sempre una buona indicazione delle condizioni fetali per tutta
la durata del travaglio (un liquido tinto di verde ad esempio può
segnalare una sofferenza fetale).
Se
dopo tre ore dall’amnioressi la dilatazione non procede di almeno 1 cm
all’ora, il travaglio può essere accelerato dalla somministrazione di
ossitocina. Questo ormone può essere dato con sicurezza ad una nullipara
che ha in grembo un solo feto, il quale si presenta in posizione
fisiologica nel canale del parto e in un contesto di membrane già rotte e
liquido amniotico limpido (o tinto con meconio, quindi verde, a cui
però si associa però un’ecografia normale). Anche una donna che ha già
avuto altri figli può tuttavia beneficiare di questo ormone. L’uso
dell’ossitocina è comunque controindicato quando il nascituro si
presenta di fronte o in posizione podalica (vale a dire non a testa in
giù) o quando le membrane sono ancora integre.
A
metà del periodo dilatante, vale a dire quando il collo dell’utero si è
aperto di 3-4 cm si può eseguire l’anestesia epidurale, che comporta
l’introduzione di un anestetico locale nello spazio compreso tra le
vertebre lombari.
La
fase finale del travaglio dura in genere da 30 minuti a due ore ed è la
più difficile da sopportare, poiché tra una contrazione e l'altra non
si fa in tempo a riposare. Quando il collo dell'utero è dilatato al
punto da combaciare con la circonferenza della testa del bambino, inizia
la fase espulsiva, ossia quella delle spinte. Il periodo dilatante ha
una durata variabile da 2 a 8-10 ore.
Fase espulsiva
Mediamente
questa fase dura da 30 minuti a 1-2 ore. Questo stadio inizia quando
ormai il collo dell’utero si è dilatato completamente e ha il compito di
far procedere il nascituro lungo il canale del parto. Il canale del
parto è una struttura muscolo-mucosa, composta dalle ossa del piccolo
bacino, rappresentate davanti dal pube, di lato prevalentemente
dall’ischio e dall’ileo (parti dell’osso dell’anca) e dietro dal sacro e
dal coccige (che sono segmenti della colonna vertebrale).
Il
canale del parto (fig.1) primo fattore da prendere in considerazione
nella dinamica del parto, è costituito dalle ossa del bacino ed è
rivestito internamente da muscoli rappresentati nella parte più
craniale, dai muscoli del bacino e, nella parte più distale dai muscoli
del pavimento pelvico. La localizzazione di tali muscoli e l’azione che
essi esercitano hanno un ruolo determinante nella fenomenologia del
travaglio e del parto.
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Nella
prima fase, che dura al massimo un’ora, la vagina non è ancora distesa e
la partoriente non sente la necessità di spingere. Se il parto deve
essere effettuato d’urgenza, è questo il momento di effettuare il
cesareo.
La
seconda fase di questo stesso periodo comincia invece dal momento in
cui la testa del feto raggiunge il pavimento pelvico e si conclude con
la nascita. Di solito le contrazioni che si avvertono non sono dolorose,
perché le fibre del collo dell’utero si sono ormai dilatate.
Le
contrazioni dunque sono molto diverse da prima e l'intervallo tra l'una
e l'altra di solito è più lungo rispetto alla fase precedente. Si
evidenzia invece un impulso ad espellere, perché la testa del feto,
scendendo lungo il canale del parto, schiaccia l’ampolla rettale
conferendole il cosiddetto “premito”. Se la partoriente non avverte
questa sensazione, può darsi che la testa del feto sia troppo grossa o
messa in posizione non fisiologica. Questo inconveniente viene di solito
evidenziato già durante la fase dilatativa. L’ostetrica determina
infatti la posizione della testa fetale in base alla disposizione delle
fontanelle e delle suture del cranio che avverte al tatto. In questo
modo è al corrente se la testa del nascituro è girata a destra piuttosto
che a sinistra, se è completamente flessa o perfettamente calibrata,
cioè messa sul giusto piano per scendere lungo il canale del parto.
In
ogni caso l’ostetrica non inviterà la partoriente a spingere finché la
testa del feto non abbia raggiunto il pavimento pelvico. Dopo aver
escluso una presentazione anomala del nascituro, si procederà tuttavia
all’infusione di ossitocina se è trascorsa un’ora nelle nullipare, e
mezz’ora nelle pluripare. Se nonostante la somministrazione dell’ormone
la situazione rimane immutata, si renderà necessaria l’esecuzione del
taglio cesareo.
La
donna viene invitata a spingere dall'ostetrica o dal ginecologo proprio
durante la contrazione per assecondare i movimenti del bambino e il
lavoro dell'utero. Le spinte, affinché siano efficaci, devono essere il
più possibile lunghe e continue ed effettuate “di pancia”.
Proprio
un istante prima che il bambino nasca, il medico potrebbe eseguire
un'incisione con una speciale forbice che serve a facilitare la
fuoriuscita del piccolo ed evitare lacerazioni del perineo (episiotomia).
Esistono due tipi di episiotomia: la prima si chiama "mediana"; il
taglio è centrale, e procede dalla vagina verso l'ano. Non incide i
muscoli ma solo la cute e la mucosa vaginale.
Il
secondo tipo è detta "paramediana", ed è più ampia e più profonda: il
taglio va dalla vagina verso la natica destra in diagonale e oltre alla
cute e alla mucosa vengono incisi i muscoli. I punti vengono applicati
in anestesia locale; quelle esterni, sulla cute e poi ci sono quelli
interni, per gli strati più profondi: mucosa vaginale e fasce muscolari.
In quasi tutti i punti nascita viene usato filo riassorbibile, che si
scioglie da solo nel giro di qualche giorno.
Il
feto continua a scendere, la testa ruota internamente, per poi
estendersi e comparire a livello vulvare. Una volta uscita, la testa
tende a ruotare esternamente ed a ciò segue una rotazione opposta del
tronco. In questo modo, lentamente, compariranno le spalle, uscite le
quali il corpo del feto viene facilmente eliminato all'esterno.
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Fig.1 (Fase del parto)
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Fig.2 (particolare della rotazione del feto durante la progressione lungo il canale del parto)
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Fig.3 (Fase del parto)
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Fig.4 (espulsione del feto)
Dopo
che il neonato è stato espulso, le contrazioni uterine si interrompono
per circa un quarto d’ora, per poi riprendere per circa mezz’ora allo
scopo di espellere la placenta (periodo del secondamento). In condizioni
di normalità, dopo 10-20 secondi dalla nascita, si reciderà il funicolo
ombelicale e si somministreranno 5 unità di ossitocina. Si completerà
l’aspirazione del muco che fuoriesce dal naso del neonato che verrà
coperto e posato in grembo alla madre.
Fase del secondamento
La
fase dura da 5 minuti a mezz’ora circa. Dopo l'espulsione del feto, il
volume uterino si riduce notevolmente e compaiono vigorose contrazioni.
Essendo la placenta poco elastica non riesce a adattarsi a queste nuove
dimensioni dell'utero, tanto da staccarsi dalla decidua e da essere
espulsa all'esterno. Si formerà un ematoma tra la placenta e la decidua
conseguente al distacco dei due foglietti. L'espulsione della placenta
prende il nome di secondamento e dura circa quindici minuti. Avvenuta
l'espulsione della placenta, compare il post partum, periodo in cui
abbiamo l'emostasi (fuoriuscita di sangue) a livello del distacco
placentare.
L'ostetrica
o il ginecologo esamineranno la placenta con cura, per assicurarsi che
sia intera. Se c'è un minimo dubbio, esploreranno l'utero per vedere che
non siano rimasti frammenti; se ciò avviene, infatti, è più probabile
il rischio di emorragie. Per questo motivo in alcuni ospedali la mamma
dopo il parto viene fatta alzare e accompagnata a piedi nella stanza del
reparto: la forza di gravità favorisce l'eliminazione di eventuali
particelle estranee. L'utero in questa fase rimane contratto in modo da
evitare eccessive perdite di sangue. Per favorire la sua contrazione
spesso il medico pratica un'iniezione di ossitocina, l'ormone
responsabile delle contrazioni uterine. Questo periodo dura circa due
ore, infatti la mamma viene tenuta sotto osservazione per eventuali
complicazioni. Trascorse le 2 ore il fenomeno del parto può considerarsi
concluso.
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