ROMA - Berlusconi sbaglia, il pericolo comunista nel Pd non esiste; ma è
vero che il partito di
Pier Luigi Bersani, così come quello del
Cavaliere, non possono riformare davvero il Paese perchè frenati dalle
ali estreme, come Lega e Sel. «Ho una profonda sfiducia nella capacità
della coalizione guidata da Berlusconi e della coalizione di Bersani di
governare l'Italia», conferma Mario Monti in serata intervenendo a Ballarò. Parole dure con le quali il professore rimette al centro la sua lista bocciando allo stesso modo sia il centrosinistra che il centrodestra. Anche se per Berlusconi riserva la bordata più velenosa: «se Berlusconi vince tanto di cappello, ma il disastro sarà per noi italiani...».
Il Cavaliere inoltre viene bollato come un «provinciale» poco ascoltato all'estero. Mario Monti continua nella sua opera di 'demolizione' dell'alleanza fra Bersani e Vendola, ammonendo sui rischi che il Paese continua a correre sul fronte economico. Anche se ha assicurato che non ci sarà bisogno di una manovra correttiva. «Non credo che forze politiche così condizionate dalle estreme possano fare politiche più radicalmente innovative», attacca il leader di Scelta Civica, intervistato da Barbara Palombelli, negli studi di Radio Due.
Il professore ricorda che a spingerlo a 'salire' in politica è stato proprio l'atteggiamento dei due soci di maggioranza della sua «strana» coalizione: il Pdl si è riavvicinato alla Lega, un partito con una «impostazione pericolosamente populistica e critica nei confronti dell'Ue»; mentre il Pd, non volendo avere avversari a sinistra, ha allacciato i legami con Sel.
Mentre al partito del Cavaliere spranga però le porte, con i democrats l'atteggiamento è leggermente più conciliante. Al suo predecessore replica senza tante cortesie: «Fa comodo dire che ho chiesto agli italiani certi sacrifici perchè imposti dalla Germania», ma è un discorso «provinciale», attacca il professore. Che ricorda i problemi di Berlusconi nelle relazioni internazionali: nonostante un atteggiamento «ammicchevole e cordiale», aveva una certa «difficoltà ad incidere» sui dossier. E poi - aggiunge con tono risentito di chi, dopo averlo votato nel '94, si è sentito tradito - la sua «doveva essere una rivoluzione liberale», ma non è stata «nè rivoluzionaria, nè liberale».
Tutt'altro il tono usato con il Pd. Ma qualche stoccata Monti la riserva anche ai democrats. Non manca di sottolineare ad esempio come il partito di Bersani abbia sposato con notevole ritardo l'economia sociale di mercato o l'atteggiamento «forzatamente modernizzante» rispetto alla sua «tradizionale ispirazione storica». Ma dice anche di averne apprezzato «gli sforzi» per «affrancarsi» da una «gloriosa storia» che, all'inizio, lo ha portato a schierarsi contro la costruzione europea. Ecco perchè - aggiunge con un altra stoccata al Cavaliere - «Berlusconi ha torto a dire che c'è un pericolo comunista».
Nel suo intervento non mancano staffilate a Massimo D'Alema e Eugenio Scalfari, dai quali dice di non poter accettare lezioni di moralità. Nega di aver ignorato i consigli di Napolitano, da lui sempre considerati «molto, molto importanti». Ma è sul dopo urne che cerca di spostare l'attenzione: è presto per dire se l'Italia sia finalmente fuori dalla crisi, perchè se quella finanziaria appare alle spalle, ora a far paura è quella economica: e tutto, sottolinea, dipenderà «da cosa succederà alle elezioni».
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