Reparti ospedalieri dimezzati, ambulatori delle asl soppressi e
consultori depennati in tronco. E’ la cura dimagrante imposta dalla
politica dei tagli alla sanità italiana. E ancora una volta a rimetterci
sono i pazienti, soprattutto i più deboli che usufruiscono delle
strutture territoriali come il day hospital o l’assistenza domiciliare.
In corsia allora scatta l’allarme da codice rosso.
E’arrivato sulle scrivanie degli assessorati alla sanità un documento approvato lo scorso 26 marzo dai ministeri della salute e dell’economia e dalla Regioni: il piano, inviato dal dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del servizio sanitario nazionale, indica gli standard su cui regolarsi per tenere aperte le strutture semplici (come i day hospital, i sert per i tossicodipendenti e i consultori famigliari) e complesse, come i reparti ospedalieri o territoriali di medicina e chirurgia. Tutte le regioni sottoposte al piano di rientro che, ad oggi, non rispettano tali parametri dovranno comunicare entro il 31 dicembre 2012 come intendono adeguarsi. Mettendo quindi i tagli nero su bianco. Per le altre, invece, i tempi saranno più lunghi.
Secondo la Cgil medici, che ha incrociato i dati Istat sulla popolazione e quelli del ministero della salute sulle strutture esistenti, il risultato sarà una vera mattanza. Nel Lazio le 1.774 strutture complesse dovranno diventare 1.533, mentre quelle semplici saranno ridotte di 1.053 unità. Per una perdita complessiva di 1.294 strutture. Non va meglio in Piemonte, in cui il taglio complessivo dovrà raggiungere quota 1.892, e in Campania dove i numeri sono davvero da capogiro: dovranno sparire infatti 8.998 strutture, di cui 8.203 semplici.
Va tenuto conto comunque che, a volte, soprattutto nei policlinici universitari un solo incarico risulti essere una struttura semplice. La Calabria dovrà rinunciare a 472 unità e la Sicilia a 1.197. Tutt’altra storia, invece, per la Lombardia a cui secondo i calcoli spetterebbe addirittura un incremento di 255 strutture complesse e 423 semplici. In tutto rischiano di sparire da Nord a Sud 17.160 strutture, tra cui ben 11.173 territoriali. Significa dover rinunciare a tutti quei servizi legati ai pazienti, malati cronici e disabili, o alle criticità del territorio come nel caso dell’assistenza per i tossicodipendenti o dei consultori famigliari.
E’arrivato sulle scrivanie degli assessorati alla sanità un documento approvato lo scorso 26 marzo dai ministeri della salute e dell’economia e dalla Regioni: il piano, inviato dal dipartimento della programmazione e dell’ordinamento del servizio sanitario nazionale, indica gli standard su cui regolarsi per tenere aperte le strutture semplici (come i day hospital, i sert per i tossicodipendenti e i consultori famigliari) e complesse, come i reparti ospedalieri o territoriali di medicina e chirurgia. Tutte le regioni sottoposte al piano di rientro che, ad oggi, non rispettano tali parametri dovranno comunicare entro il 31 dicembre 2012 come intendono adeguarsi. Mettendo quindi i tagli nero su bianco. Per le altre, invece, i tempi saranno più lunghi.
Secondo la Cgil medici, che ha incrociato i dati Istat sulla popolazione e quelli del ministero della salute sulle strutture esistenti, il risultato sarà una vera mattanza. Nel Lazio le 1.774 strutture complesse dovranno diventare 1.533, mentre quelle semplici saranno ridotte di 1.053 unità. Per una perdita complessiva di 1.294 strutture. Non va meglio in Piemonte, in cui il taglio complessivo dovrà raggiungere quota 1.892, e in Campania dove i numeri sono davvero da capogiro: dovranno sparire infatti 8.998 strutture, di cui 8.203 semplici.
Va tenuto conto comunque che, a volte, soprattutto nei policlinici universitari un solo incarico risulti essere una struttura semplice. La Calabria dovrà rinunciare a 472 unità e la Sicilia a 1.197. Tutt’altra storia, invece, per la Lombardia a cui secondo i calcoli spetterebbe addirittura un incremento di 255 strutture complesse e 423 semplici. In tutto rischiano di sparire da Nord a Sud 17.160 strutture, tra cui ben 11.173 territoriali. Significa dover rinunciare a tutti quei servizi legati ai pazienti, malati cronici e disabili, o alle criticità del territorio come nel caso dell’assistenza per i tossicodipendenti o dei consultori famigliari.
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