“La Sicilia potrebbe essere investita entro i prossimi 24
mesi da un terremoto senza precedenti”: una previsione agghiacciante che
mette già i brividi solo a parlarne. Eppure ci sono studiosi che si
dicono convinti che qualcosa di drammatico stia davvero per accadere.
Secondo alcuni studiosi il “Big One” sta per arrivare in terra sicula, mentre la Regione al momento non ha approntato alcuna misura preventiva.
Secondo alcuni studiosi il “Big One” sta per arrivare in terra sicula, mentre la Regione al momento non ha approntato alcuna misura preventiva.
Abbiamo avuto 400 anni di tempo per evitare la catastrofe ma non sono
stati impiegati in alcun modo per realizzare infrastrutture a norma e
aiutare la popolazione a difendersi da eventi catastrofici.
A questo punto, se le cose stanno come viene prospettato dal prof. Alessandro Martelli, direttore del Centro ricerche “Enea” di
Bologna, ci resterebbero 24 mesi per salvare il salvabile: ma l’80% dei
siciliani è senza piano di emergenza e rischia di non avere scampo se
davvero arriverà il “Big One”.
![sicilia](http://www.6aprile.it/wp-content/uploads/2012/10/sicilia.jpg)
Gli studiosi ipotizzano, come detto, il “Big One”, il grande terremoto
che devasterebbe l’isola siciliana. Lo stesso terremoto che pone dei
fortissimi dubbi sulla sicurezza della costruzione del ponte sullo
stretto. Un terremoto “secolare” in quanto è atteso dal lontano 1693 che
dovrebbe superare i 7.5 gradi della scala Richter.
L’incubo di un terremoto devastante minaccia lo Stretto e adesso la gente inizia ad aver paura sul serio.
Non
solo Martelli, ma anche altri enti e recenti studi lanciano d’altronde
segnali inquietanti alla comunità scientifica italiana: i tempi
sarebbero maturi per un violento terremoto tra la Sicilia e la Calabria.
Sono di questo avviso l’Università di Trieste, l’Accademia russa delle
Scienze e l’International Centre for Theoretical Physics. L’evento
sismico, che non vogliamo nemmeno immaginare e di cui mai vorremo
parlarvi, potrebbe liberare molta più energia di quella prodotta dal terremoto del 2009 a L’Aquila.
Che l’Italia nella sua interezza sia un paese ad alto rischio sismico è
un fatto ampiamente noto. Alcune ricerche, di cui anche una prodotta da
Vladimir Kossobokov, dell’Accademia Russa delle Scienze, aprono
addirittura nuovi scenari apocalittici. “Nel 2010 – ha spiegato lo
scienziato – è stato individuato un periodo di maggiore probabilità,
calcolato per terremoti di 7.5 Richter, in un ambito d’indagine che
include la Sicilia e la Calabria, e queste informazioni sono state
trasmesse ai nostri colleghi italiani”.
Messe a confronto due mappe delle zone a rischio, una di qualche anno fa
ed un’altra più recente, ci si è resi conto di come, dallo scorso marzo
2012, il rischio nel Sud Italia pare sia aumentato.
“La situazione sismica – spiega Giuliano Panza, professore di sismologia
all’Università di Trieste – è in continua evoluzione”, per cui è
necessario confrontare, di volta in volta, la pericolosità di massimo
spostamento del suolo in caso di terremoto e i movimenti tellurici in
atto.
Ma in questi casi la cautela non è mai troppa. I dati di rischio non
devono far supporre l’imminente arrivo di una catastrofe. “In base ai
risultati ottenuti fino ad oggi, – ha spiegato lo stesso Martelli,
direttore dell’Enea di Bologna – si può pensare ad un 70 per cento di attendibilità.
Una previsione del tipo “un evento x avverrà nel giorno x è
assolutamente impossibile al giorno d’oggi. Quello che si può prevedere,
con una certa probabilità, è che un terremoto possa avvenire in un
certo lasso di tempo, tipo qualche mese o un anno, in una zona molto
estesa come dimensioni. Si tratta, però, di qualcosa che potrebbe anche
non verificarsi”.
“Qualcuno – ha detto Martelli – ci accusa di allarmismo, ma il nostro
unico obiettivo è quello di aiutare la popolazione e cercare di dare un
contributo per migliorare questo Paese, che rimane al momento
incosciente di fronte a fatti concreti e poi piange per mesi quando
arriva una catastrofe. Le istituzioni devono muoversi dalla loro inerzia in
termini di Protezione Civile e va verificata una ricognizione
strategica in termini di sicurezza ambientale, e fare una corretta
campagna di informazione per la gente”.
Il rischio sarebbe esponenziale dove sono presenti gli impianti RIR,
ovvero a Rischio Incidente Rilevante. Si tratta delle zone industriali
come quella della raffineria di Milazzo, nel Messinese, o a Priolo, nel
Siracusano.
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L’azione di un violento terremoto amplificherebbe la tragedia a causa
della fuoriuscita di acidi e gas dagli stabilimenti, con la quasi certa
conseguenza di disastro ambientale. “La preoccupazione è per il metano –
avverte Luigi Solarino, docente di Chimica industriale all’Università
di Catania – che, essendo più leggero dell’aria, incontrerebbe le
centinaia di fiaccole industriali, innescando un enorme incendio che
distruggerebbe tutto”.
Resta da chiedersi quando le amministrazioni si decideranno a dare il
via, nelle zone a rischio, a campagne di esercitazioni con i cittadini,
simulando evacuazioni ed interventi di soccorso. Bisognerebbe anche
effettuare controlli a tappeto negli edifici critici, come scuole,
ospedali e nei tanti depositi di elementi chimici. Non si eviterebbe di certo la catastrofe, ma la si renderebbe meno devastante di quello che potrebbe essere.
I siciliani lo sanno, lo temono, che qualcosa potrebbe accadere,
attendono però l’evento totalmente impreparati ed ignari di ciò che li
aspetta. Non è bastato nemmeno il maremoto di Messina che ha costretto
ben 3 generazioni in baracca a smuovere un piano contro le calamità. A
fronte di 5 milioni di siciliani a rischio vi sarebbero appena 4 mila
tende.
E attenzione al pericolo trivelle in aree sismiche, come d’altronde si è
già evidenziato pure in Campania nell’area dei Campi Flegrei. Molti
hanno obiettato che non esistono studi scientifici che dimostrino il
collegamento tra la trivellazione di alcuni territori ed i terremoti.
Tuttavia esistono due studi ufficiali condotti in America che
dimostrano, dati alla mano, il collegamento tra la trivellazione di
alcuni territori e l’incremento di terremoti.
Per questo diventa lecito chiedersi se siamo di fronte ad un allarmismo
esasperato e del tutto privo di elementi concreti e schiaccianti che
attestano la previsione del fenomeno sismico. O se, invece, il terremoto
in Sicilia è veramente così imminente.
“Gli impianti petrolchimici di Gela, Priolo e Milazzo sono vetustie non
resisterebbero a forti scosse”, affermano gli esperti, In buona sostanza
c’è anche l’idea di un disastro ambientale. E i piani di emergenza dove sono?
“Catastrofe prevista fra 24 mesi”. Questa l’ipotesi che fa
paura. Alessandro Martelli, direttore dell’Enea di Bologna, auspica la
previsione immediata di piani di emergenza a fronte della tesi secondo
cui il sisma potrebbe verificarsi entro i prossimi 24 mesi. Come a dire
che quel che non abbiamo fatto sinora bisognerebbe tentare di farlo
nell’arco di due anni tra crisi economica ed instabilità politica.
Le parole del direttore Enea di Bologna, successive al sisma in
Emilia, hanno scatenato una bufera: “Ora tocca al Sud, in particolare a
Sicilia e Calabria”. Ma il fatto è che anche altri studiosi
affermano: “il Big One è imminente”. Già nel 1985 la Protezione Civile
invitò le autorità siciliane a predisporre dei piani di emergenza per
evitare la catastrofe che si sarebbe potuta abbattere nei successivi 15
anni. Ma la Sicilia anche all’epoca preferì dormire sogni tranquilli.
L’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) sinora sconfessa con decisione ogni previsione catastrofica,
rilevando che “non è possibile prevedere i terremoti”. E la speranza
ovviamente è che, alla fine, sulla questione del Big One e della Sicilia
a rischio, sia proprio questa la sola ed unica versione veritiera dei
fatti.
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