domenica 13 gennaio 2013

SCHETTINO:"IL DOLORE LO PORTO DENTRO"



"Dall'ultimo 13 gennaio per tutti i giorni della mia vita futura, in modo strettamente personale, io avrò sempre qualcosa nel mio cuore che mi legherà all'evento e alle famiglie delle vittime. Il dolore a mio avviso non va esibito, è qualche cosa che noi ci portiamo dentro". Lo ha detto il comandante della Costa Concordia, Francesco Schettino. "Quello che io posso dire è di volermi unire al dolore di tutte le vittime, dei familiari delle vittime".
Schettino racconta quanto accaduto la sera della tragedia. "Quello non era un inchino, era un passaggio vicino all'isola, pianificato con la Costa. La scelta sulla pratica dell'inchino è lasciata al comandante e io non ho mai chiesto l'autorizzazione per fare inchini. Anche il 14 agosto c'era stato un inchino: si fa quando si può, quando ci sono le condizioni o quando la navigazione diventa noiosa".

"Io avevo indicato una rotta che passava a circa mezzo miglio dalla costa del Giglio, circa 600 metri, poi c'è stata come tutti sanno una telefonata - ha aggiunto Schettino riferendosi alla comunicazione con il comandante Palumbo - ma non era certo per chiedere indicazioni, per quello avevo la carta nautica. In realtà non eravamo alla distanza minima ma la nave stava puntando verso gli scogli".
"Mi sono autoincolpato, ma altri dovevano segnalarmi il pericolo"
"Mi sono spostato davanti al finestrone" della plancia di comando "e c'era la montagna di fronte, andavamo dritti verso la montagna", ripete il comandante della Concordia in un'intervista a Domenica In. "Chi è preposto al radar doveva dire che c'era la terra di fronte. Mi è stato detto che se passavamo dritti andavamo bene. Così mi sono autoincolpato perché ho seguito le indicazioni che ho avuto". "Nel mio interrogatorio ho detto che se non viravamo non prendevamo nulla. Se il timoniere avesse capito bene - ha poi detto Francesco Schettino - la nave sarebbe passata senza che succedesse nulla".

"Parlai di blackout per evitare il panico"
Il comandante giustifica anche la sua scelta di non dire ai passeggeri quanto stesse accadendo. "Parlai di blackout perché c'era da gestire il panico. C'erano molte persone salite a Civitavecchia e che non sapevano ancora dove erano i ponti e gli imbarchi. Ho cercato di non aggravare la situazione. Volevo che i passeggeri fossero tutti contati e messi sulle scialuppe".

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